Per far ripartire l'ex Ilva servirebbe un miliardo di euro entro la fine del 2024; senza
l’ingente risorsa la gestione degli impianti è a rischio e senza l'ex Ilva va in crisi tutta la
filiera dell’acciaio. Pertanto la riconversione verde è una necessità. Lo sostiene Zanardi,
presidente di Assofond, che rappresenta mille fonderie e 30 mila addetti che ha
ammesso: "Navighiamo a vista in un mercato fiacco".
La crisi dell’acciaio che ha la punta dell’iceberg ne gruppo siderurgico ex Ilva si allarga
a macchia d’olio, direttamente proporzionale alle preoccupazioni dei lavoratori e dei
loro rappresentanti sindacali. La Fiom Cgil punta il dito sul piano industriale e il suo
leader, Loris Scarpa, nel sottolineare il problema della liquidità, si chiede e chiede dove
sia finito il miliardo stanziato per la decarbonizzazione.
C’è palese incertezza anche allo stabilimento ex Ilva di Novi Ligure dove la produzione
ha toccato i minimi storici appena 100 mila tonnellate annue di acciaio lavorati, contro i
2 milioni di dieci anni fa. Fim, Fiom e Uilm chiedono una ripartenza e sollecitano i
finanziamenti promessi sul fronte sicurezza.
Nella ferriera di Strada per Bosco Marengo a Novi Ligure si sono svolte, nel più
assoluto riserbo, le visite ricognitive di potenziali acquirenti dello stabilimento,
annunciati dal ministro Urso. Nei reparti di Novi sussurrano a voce bassa che si sono
visti i tecnici della cordata Vulcan Green - Steel Mont e di Metinvest.
Ricapitolando: il Governo italiano vorrebbe cedere l'Ilva nel giro di sei mesi, ma i
potenziali acquirenti pretendono una società pulita e senza debiti. È la versione
d’acciaio della coperta troppo.
Nella foto:
C’è preoccupazione tra i dipendenti dello stabilimento di Novi dell’ex Ilva.